Recensione di Marco Nicastro al volume di Marco Monaco: "Bruno Callieri Dallo scacco dell'ombra all'incontro intersoggettivo"
Lo scoglio maggiore per chi, anche da professionista del settore, si avvicina alla psicologia e psicopatologia fenomenologica, è probabilmente l’imperversare di un linguaggio oscuro, a volte astruso, che ricalca impropriamente quello di alcuni filosofi del Novecento a cui i clinici di quell’orientamento si rifanno e che spesso imitano ingenuamente, come se descrivere o approfondire l’esperienza interiore dell’uomo da un punto di vista filosofico, e provare a comprenderla e a generare in essa dei cambiamenti da un punto di vista clinico, sia cosa sovrapponibile. L’impressione che si ricava spesso dalla lettura di psicologi e psichiatri di orientamento fenomenologico è purtroppo quella di un circolo chiuso che parla a pochi addetti ai lavori, una dinamica simile a quella che caratterizza molti circoli psicoanalitici che da quelli fenomenologici spesso sono stati criticati per un’inclinazione clinica latamente meccanicistica e a volte per l’aura di sacralità ed esclusività che ha caratterizzato le loro pratiche terapeutiche.
È proprio, a mio avviso, da questa nebulosità della fenomenologia applicata alla clinica che il libro di Marco Monaco trae per contrappunto il proprio valore. Il testo, uscito per i tipi delle Edizioni Universitarie Romane a fine 2021, approfondisce la figura umana e la teorizzazione di Bruno Callieri, uno dei maggiori psicopatologi italiani di orientamento fenomenologico del Novecento, ricordato anche attraverso una serie di fotografie incluse nel volume che ritraggono lo psichiatra romano in momenti conviviali con amici e colleghi in occasione di convegni, presentazioni e incontri di studio.
Il merito principale del libro è la chiarezza con cui l’autore riesce a spiegare i concetti propri della psicopatologia fenomenologica delle psicosi (ambito in cui la fenomenologia ha dato i maggiori contributi), aspetto che rivela non solo il suo studio attento della materia, ma anche la sua capacità di fare seria divulgazione. Il testo risulta ben scritto, scorre bene come un romanzo e porta il lettore a dividersi piacevolmente tra l’evoluzione della teoria di Callieri sulla psicosi – partendo dai concetti principali della psicopatologia fenomenologica ispirati da Husserl, Jaspers, Heidegger, Schneider e altri – e la narrazione di alcuni periodi della sua vita professionale, resa impervia dalla sua indipendenza di pensiero in una psichiatria italiana bloccata dentro a ristrette visioni organiciste. Ciò che spicca nel ritratto delineato da Monaco è certamente l’umanità, l’umiltà scientifica e l’autentica apertura all’incontro col paziente di Callieri, uomo prima che psichiatra, impegnato nell’approfondimento dell’esperienza psicotica. In tal senso, particolare rilievo è dato nel libro ai concetti da lui elaborati di “perplessità” e di “atmosfera delirante” quali aspetti centrali della fase prodromica della psicosi, da separare almeno parzialmente dal successivo esito delirante. Quella prodromica è, per Callieri, una fase molto importante in termini clinici (come dimostrerà la ricerca successiva), una fase in cui gli esiti del disturbo non sono ancora scritti e in cui è quindi più facile fare qualcosa per scongiurare la cristallizzazione del delirio. Al contempo è significativo rilevare come autori anche succedanei a Callieri (ad esempio Blankenburg, Parnas, ma non solo) abbiano effettuato osservazioni simili sui propri pazienti psicotici e abbiano elaborato concetti analoghi sugli stati psicotici senza menzionare il nostro, indice sia dell’atteggiamento di Callieri – potremmo forse dire modesto e riservato – sia della difficoltà del pensiero fenomenologico italiano di imporsi a livello europeo, ma soprattutto della qualità e dell’originalità del suo lavoro teorico.
Il libro si conclude con uno sguardo sulle “cose ultime”, ovvero sul concetto di morte per Callieri da un punto di vista sia filosofico che psicologico che religioso, ambiti che egli cercò sempre di far comunicare innanzitutto dentro di lui, ritenendo non solo che la spiritualità fosse una dimensione importante dell’essere umano e come tale potesse essere presa in considerazione anche in un ambito più strettamente clinico, ma anche che, in generale, chi si occupi di sofferenza mentale debba avere una propensione all’apertura, alla complessità di pensiero e all’integrazione delle discipline scientifiche e umanistiche, come lui stesso ha cercato coerentemente di fare fino agli ultimi momenti della sua vita.